Il mio Kanto libero ~ Lindagine.it

   Lindagine pone i protagonisti al centro delle due scene per incarnare anche graficamente l'deale di flessibilità ed equilibrio


.

Un prato è appassito, era il sito d’un omino.

Lì coglieva fiori; ne snaturava i colori:

non innaffiava mai.


Un prato è appassito: era il sito d’un omino.

Lì recideva radici, le rivendeva per suoi fini;

non arava mai.


Un prato è appassito: era il sito d’un omino.

Era mendace, sagace; stringeva mani solo per fame: 

non si saziava mai.


Un prato è appassito: era il sito d’un omino.

Lì volto lo sguardo, nel campo, ora è senza volto.

Non ogni raccolto in fondo fu mai davvero accolto.

Ora l’inverno bussa più che mai.


Un prato è appassito: era il sito d’un omino.

Lì un bruco da sempre; ma fu cieco del fango.

Sai che chi si fida accetta la sfida dell’inganno?

ma ora vola alto; saranno solo ricordi ormai.


Un prato è appassito: era il sito d’un omino.

Lì il marchio rese marcio il campo per fedeltà ad una ratio troppo individuale.

Quanti in mora di coscienza per dar troppo credito ad una pseudo morale.


©️Testo e chiave di lettura coperti da Copyright  ©️Author: Linda Cianci (Lindagine)



 CHIAVE DI LETTURA:

1. Premessa:

Lindagine di questo mese tesse il filo del racconto curando — più del solito sia i dettagli stilistico-formali, che quelli contenutistici, mettendoli tra loro in relazione in una logica dialogico-narrativa. 

Ne emergono, anche partendo da prospettive apparentemente differenti, due messaggi ben precisi:

  1. È la capacità social-dialogico-comunicativa-razionale   che tiene conto del limite concreto dell'altro e si bilancia tra l'isolamento della propria trama ed il movimento delle altre,  in modo flessibile    a donare coerenza, unità e continuità al racconto, così come ad una comunità di cittadini. 
  2. È nell'alterità concreta — e non nella pura ragione che giustifica isolatamente l'intenzione, incurante degli effetti della sua azione la vera e reale condizione di un ideale di giustizia, di morale e di concreta auto-normazione che sia di valore universale.

Ciò permette di aprire ampi spazi di riflessione, che tuttavia qui non approfondiremo , se non quanto basta. Tre gli assi portanti che indagheremo: l'allegoria dietro la trama con "La Cura"; la struttura non casuale del testo con: "Oltre il cerchio metrico"; il pericolo di una morale universale isolata con "Akantonamento".


2. La Cura:

Riprendendo una vecchia Lindagine, ne sfruttiamo il titolo   La Cura  per evidenziare le diverse allegorie dietro la trama del testo del mese. Le più emblematiche: il prato appassito, l'omino, il bruco/farfalla. 

Lindagine, ciclicamente e puntualmente, riecheggia nel monito: «Un prato è appassito: era il sito d’un omino». Qui, il prato è la metafora dello svolgimento e movimento della vita sociale, dello spazio di determinazione dell'alterità concreta, che appassendo, però — in quanto isolatomuta in metro visibile del fallimento e del pericolo di un moralismo freddo, che traveste di etica apparente e astratta il proprio istinto utilitaristico e di auto-conservazione dietro ad una "pura intenzione".

L’omino rappresenta infatti un soggetto chiuso, autoreferenziale, incapace di nutrire ciò che tocca e di esser puramente in sintonia con il proprio sé. Un soggetto che vive di una presunta rettitudine e fredda logica auto-imposta ed isolata, ma che pretende universale. Ogni strofa mostra un diverso modo in cui distrugge silenziosamente e mendacemente ciò che lo circonda e aveva costruito: "Non innaffia i fiori"supera il limite dell'alterità concreta; "recide radici":  tronca le connessioni e sterilizza la vita con un “marchio” morale rigido, che diventa "marcio"; "stringe mani solo per fame": si avvicina agli altri solo per necessità, non per relazione autentica e non bilancia flessibilmente l'uso della capacità social-dialogica, determinando il perimento del campo. Si isola dunque, uccide il movimento rigidamente, supera il limite dell'alterità concreta, nega la capacità comunicativa fino alla sua stessa auto-distruzione: "ora è senza volto".

Il prato appassito e l'incuranza dell'omino sono quindi la metafora di una vita morale pura in astratto ma distruttiva e infruttuosa in concreto per il reale rispetto dell'alterità sociale e dunque dello svolgimento della vita condivisala cui unica forma di tutela, come il brucoè trasformarsi in farfalla, prima di esser uccisi dal fango. Il bruco che lontano “ora vola alto” rappresenta  la flessibilità e liberazione, l'alterità concreta e l'amara realizzazione di chi, grazie al perimento del campo, ne riconosce la natura ingannevole ed avida e si sottrae. Qui, la metafora può ben essere colta anche con il riferimento alle critiche del "giudice bocca della legge" o alla "banalità del male".

In sintesi, le due storie, anche se corrono su due binari paralleli, mettono - allegoricamente - entrambe in evidenza un unico messaggio: cosa succede se l'ordine sociale non si fonda sul limite autentico dell'alterità concreta e sull'equilibrio flessibile tra movimento ed isolamento della capacità social-dialogico-comunicativa-razionale. La trama dunque racconta e rappresenta l’eccesso, il lato negativo che emerge quando questi due elementi sono in disequilibrio: il prato, semplicemente, appassisce.


2.Oltre il cerchio metrico:

Se la trama rappresenta lo squilibrio e la rigidità dei due elementi,  la composizione metrica - a contrario - riequilibra la dinamica, evidenziando cosa succede quando essi si trovano in flessibile equilibrio.

La struttura del testo, dunque, rappresenta l’aspetto opposto, costruttivo e fondativo. Infatti, pur mantenendo l’isolamento narrativo delle due storie — le quattro terzine dell’omino e le due quartine del bruco e del raccolto — la poesia le unisce all’interno di un unico spazio ritmico e simbolico, perfettamente proporzionale: le une sono l'esatta metà delle altre. Esse vengono unite nella loro diversità e pluralità in un unico testo, in cui coesistono armonicamente, senza snaturarsi né appassire.

Questa impostazione formale genera un messaggio forte e conciso: la coesistenza equilibrata delle differenze e delle idee plurali è possibile, e diventa - ed è - addirittura fondativa. Il testo bilancia flessibilmente movimento e isolamento, permettendo sia la piena realizzazione dell’alterità concreta - le due storie - sia della capacità socio-dialogica-razionale, che genera senso, unità e valore. L'una non si comprenderebbe senza l'altra e senza l'immagine del prato. È questo equilibrio strutturale a dare al lettore la percezione e pratica realizzazione dell'unità nella pluralità, come se la poesia stessa incarnasse ciò che l'omino non è riuscito a vivere, fare e bilanciare.

Sul piano giuridico, tale dinamica richiama in modo indiretto l’art. 2 della Costituzione italiana, che: "riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”, e al tempo stesso richiede l’adempimento dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale. La composizione metrica ne offre una rappresentazione simbolica: nessuna persona o istituzione, nessuna comunità può realizzarsi senza relazione o limite, senza reciproco equilibrio dei due elementi detti, né senza riconoscimento dell'alterità concreta, che non va isolata per rigidità morale.


3 .aKantonamento ?

3.1 Premessa

I due ragionamenti fin qui posti portano inevitabilmente a chiedersi quale sia l'origine di una tale asimmetria. La risposta - o almeno una possibile e non definitiva - è proprio la rigidità e il solipsismo morale vestito da etica e giustizia "pura" .

A tal proposito, anche qui, il titolo del paragrafo è emblematico, perché mette subito in risalto l'oggetto - ma con una precisazione:  accantonare significa isolare, dunque squilibrio. Il riferimento è al pensiero kantiano -  che si badi - non si accantona del tutto, perché significherebbe creare ulteriore asimmetria ed eccesso e andar contro a quanto si è sempre esposto - ma se ne evidenziano i rischi e criticità della sua "ragione pura",  per tentare di riequilibrarla nel rispetto dei due elementi, in particolare l'alterità concreta. Ci si scusa a priori se si troverà qualche imprecisione.

3.2  Il Puro Kant

Per i non addetti ai lavori, ecco un breve cenno alla filosofia morale kantania, in modo tale che quando verrà applicata a Lindagine del mese, tutti ne possiamo seguire i passaggi.  Banalizzando molto, per Kant, la moralità nasce dalla ragione, che tutti noi condividiamo: ognuno deve darsi da sé la legge morale -  e ciò consente di non ubbidire ad un'autorità esterna, ma a se stessi (autonomia). Una regola è giusta solo se può valere sempre e per tutti, senza eccezioni. Il famoso criterio è: “Agisci solo secondo la massima che puoi volere diventi legge universale". (imperativo categorico). Un’azione è morale solo se fatta per dovere, non per emozione, inclinazione o interesse. Ciò che conta è la purezza dell’intenzione, non il risultato concreto (dovere). Dunque non rilevano le sue conseguenze, ma la conformità al dovere.

Il rischio? Questa visione può diventare molto astratta e pericolosa, perché assolutizza un ideale — isolandolo — e dichiarando ad esso cieca fedeltà, senza flessibilità né limite dell'alterità concreta

Tutto ciò - ma qui si apre e chiude subito parentesi, perché una divagazione - sembra un richiamo ad un Rousseau portato all’estremo e criticato per tirannia della volontà generale. A questo c’è un ulteriore pensiero da aggiungere: parlare di concretezza non significa rendere immanente l’identità governanti-governati, ma farla materia per un’ordinata convivenza social-democratica con il limite che non tocca mai lo scarto perché flessibilmente ed equilibratamente isolato con il movimento di quel “potere”. [...]

Tornando a noi. La pretesa di universalizzazione cade quando analizziamo banalmente l'art. 3 cost. : l'uguaglianza non è solo formale è anche e soprattutto sostanziale. Alla luce di questo, la ragione che prima stabilisce una regola “a priori” - assoluta e non flessibile - che poi applica a tutti indistintamente, senza tener conto delle dinamiche plurali, non sempre corrisponde al "tutti" concreto e sostanziale della realtà sociale, relazionale e umana. Cartesio qui è emblematico nella parte in cui scriveva che due soggetti, formalmente uguali, sono tra loro sostanzialmente differenti, se crescono in culture differenti. Sembra che idealizzare ed isolare eccessivamente un ideale sia solo il sintomo di una morbosa necessità di auto-giustificazione e consolazione. 

Altri esempi, inoltre, possono citarsi a favore di tale tesi. Se la concezione di Habermas è stata criticata per fallacia logica sul concetto di "discorso", proprio perché era considerata troppo astratta ed "isolata" rispetto ai reali casi concreti e sue eccezioni, non sarà lo stesso di questa ragione idealizzata assolutisticamente? Se ciò che conta è la sola purezza dell'intenzione, allora è giusta anche una cieca applicazione della legge senza considerarne il contenuto, perché tanto ci siamo conformati ad essa per dovere? Dove sono qui le zone grigie del diritto e tutto ciò che si condanna sempre ai processi di Norimberga? Metodologicamente e concettualmente si scorge un forte parallelismo con questi temi, ma non si approfondiranno. Non si hanno nemmeno le competenze. Si evidenzia solo il forte pericolo di una simile logica - estremamente isolata- applicata al concetto di "morale".

3.2  Il mio Kant-o Libero: applicazione al testo

Applichiamo ora quanto esposto al testo del mese. Il nostro metro d'indagine è la figura dell'omino, il cui modo d'agire è ciò che prepara il terreno alle criticità del kantismo, preso nella sua forma più rigida, che pretende solo la "purezza d’intenzione"e non auto-analisi.

L'omino è il simbolo dell’auto-normazione astratta portata all'eccesso, dove la legge nasce da sé e per sé senza relazione. Nega sia l'alterità concreta, sia la capacità dialogico-razionale, auto-giustificandosi moralmente che tanto "è conforme al dovere" o ha "agito per un bene superiore" e pertanto ha adempiuto a tutte le sue responsabilità e non ne è sfuggito. Ma intanto il "prato è appassito", come un governo che cade perché ormai non c'è più "fiducia".

L'omino sembra un Eichmann: il suo reato è essere isolato e non rendersene conto, poiché ha lo scudo del suo imperativo categorico. Egli così dimentica l'altro essere per pura adesione ad un ideale regolativo eccessivamente isolato ed astratto —  e questo lo porterà sempre e solo a "prendere" dal campo finché, però, non si ritroverà anche lui "appassito" - o meglio "senza volto" - come il tragico finale di Dorian Gray.  In altri termini, il protagonista confonde la morale con la coerenza formale — indossa una "maschera" di rettitudine che gli evita il confronto sostanziale con gli altri e se stesso; invece di guardarsi dentro, si consola con la purezza della propria regola. Ma questa purezza è pericolosa come la teoria pura del diritto kelseniana o la purezza della razza ariana e - si sa - quando la regola diventa alibi , l’etica non è più cura e mantenimento dell'ordine social-istituzionale e relazionale, ma mera consolazione per il proprio Io, ingabbiato e tradito da se stesso. L'omino inoltre confonde la pura adesione alla regola con la società umana e trasforma il concetto di giustizia in solipsistica auto-disciplina, che in realtà è solo espressione di un brutale istinto di auto-conservazione addomesticato. Ma se non teniamo conto dei due elementi e siamo da essi ab-soluti, non diventiamo nuovamente anche nella società civile, sul piano sostanziale, “sovrani eccessivamente isolati di noi stessi” - un po' come gli stati internazionali - e "della nostra morale", ritornando paradossalmente ad nuova guerra di tutti contro tutti, travestita questa volta da una pseudo e rigida coerenza etica? A tal proposito il finale è emblematico:"[...] per fedeltà ad una ratio troppo individuale. Quanti in mora di coscienza per dar troppo credito ad una pseudo morale. Ci sarebbe molto altro da dire e puntualizzare, ma non si farà e anche qui si lascia all'interpretazione critica di chi legge.

In sintesi, Lindagine del mese offre un messaggio molto chiaro, presente anche nella storia del pensiero umano: non basta darsi una legge, né trovare un ideale, né la sola coerenza dell’intenzione a cui ancorarsi ossessivamente e assolutisticamente per essere giusti. Se lo si fa, è la spia che c'è dello squilibrio - interno ed esterno -  e del "marcio" dietro che va flessibilmente riequilibrato. La società è fatta anche di eccezioni e zone grigie che non sono errori, ma realtà concreta e sostanziale: condizione stessa dell'esistenza anche pratica dell'essere e del suo determinarsi; ciò che lo rende radicalmente umano - nel senso qui anche di radicatoE' come quando si risolve un'equazione matematica: non basta aver scritto bene il testo (l'origine), ma serve non errare nello svolgimento per ottenere il giusto risultato.

Ecco che solo un’etica che sappia bilanciare forma e materia, dovere e relazione, può tutelare dal rischio di diventare mera auto-consolazione morale, solipsistica e sterile, e trovare — come le terzine e le quartine che si incontrano e dialogano tra loro, pur rimanendo equilibratamente isolate —  un’armonia vivente che: rispetti il limite dell'alterità concreta; e applichi ed eserciti  flessibilmente la capacità social-dialogico-comunicativa-razionale che — solo se bilanciata tra l'isolamento della propria trama ed il movimento delle altre  dona coerenza, unità, giustizia e continuità al racconto, così come ad una comunità di cittadini. 

Il risultato finale è chiaro: una morale che non riconosce movimento, limite e relazione, bilanciando anche i due elementi oggi sottolineati ed introdotti, si autodistrugge. Il prato appassisce, la farfalla vola via e l’omino resta - oramai senza volto, dopo una vittoria di Pirro -  solo, con la sua “pseudo-morale”.

Commenti

  1. Leggi Hans Jonas. Ti potrebbe interessare

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  2. Complimenti, Linda. In un contesto in cui molti scrivono sul tema dell’etica e della moralità e della capacità comunicativa, tu sei riuscita con grande sintesi a esprimerne la reale importanza. Hai un talento prezioso. Ti auguro il meglio: la tua scrittura è raffinata e lascia trasparire una grande sensibilità. Ti leggo sempre con grande stima.

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  3. Pienamente in linea. Ho pensato leggendoti a questa frase: È sempre singolare vedere quanto rapidamente l'etica evapori quando dovrebbe diventare concreta. Cura e coerenza: tutti le insegnano e se ne fanno vanto, pochi le praticano quando diventano “scomode”. Brava👏🏻

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  4. Colpisce molto. Leggendo il tema dell'alterità concreta emerge chiaramente come anche le intenzioni più "pure" rischiano di appassire quando mancano del gesto minimo che nutre il rapporto sociale: la comunicazione. Nel testo, il prato non si rovina per un grande errore, ma per una piccola omissione ripetuta. A volte, ciò che logora non è la scelta, ma il silenzio che la precede. È interessante notare come da immagini banali si traggano grandi temi professionali ed esistenziali. Bellissimo articolo del mese. Leggerò anche altro. Complimenti

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  5. 👏🏻👏🏻👏🏻

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