"May”day ~ Lindagine.it

 

"Golconda" by René Magritte,

Alla fine, ognuno non vive che di se stesso;
"solo interessi comuni fondano comunità".
Il movimento verso è solo un tentativo di dar forma al proprio riflesso,
ma non si colma una lacuna che dall’interno:
a ogni sé la sua unità.

Non siamo noi, in fondo, che giocolieri dell’anima?
In bilico tra cuore e mente pratica.
Ma anche l’irrazionalità cela matematica;
nel vortice c’è un vertice per risolvere la voragine:“non è il teorema di Pitagora.”

Sei tu, come un puntino tra l’infinito e l’oblio.
Ora, “finito”, ti capovolgi, volgi il capo al mondo;
crei il tuo sfondo, togli ogni torto dall’Ortho¹,
in fondo, ogni via cela un “avvio”.

Ora sei pronto a unire i mondi, come tasti di pianoforti: l’unità degli accordi;

Ma non sono ancora l’unità dell’io,
ma dell’io solo un contorno,
che va fuori dai bordi.

Ma non sono ancora l’unità dell’io,
ma dell’io solo un contorno,
in eterno ritorno al suo primordio solo contro nuovi orizzonti.

Io.

©️Testo coperto da copyright; Author:Linda Cianci (Lindagine)

 — — —

(¹) dal greco: dritto, corretto



"CHIAVE DI LETTURA"

MAYDAY, (originariamente "Resa" di Coscienza") è Lindagine per questo maggio. Titolo un po' forte, che al solito gioca con le parole, ma fortemente positivo e  motivazionale in realtà. Scopriamo insieme perché.

La poesia si configura come un’indagine introspettiva sulla natura dell’identità umana, sospesa tra individualismo e tensione relazionale, tra caos interiore e ricerca di coerenza. Fin dai versi iniziali, viene introdotto un principio spiazzante: “Alla fine, ognuno non vive che di se stesso”. È una dichiarazione che ridimensiona l’illusione di una comunione ed intesa spontanea tra gli individui, suggerendo che la vera comunanza può sorgere solo su interessi condivisi — un’idea che richiama blandamente e banalmente, come le righe successive, postulati classici  — sia filosofici che sociologici.

Nel passaggio immediatamente successivo, il “sé” si presenta come lacunoso, incapace di completarsi tramite l’altro. Il “movimento verso” appare non come empatia autentica, ma come una forma di narcisismo riflesso: cerchiamo negli altri ciò che ci manca, o ciò che speriamo di riconoscere; o proiettiamo le nostre aspettative, alienando così la libertà altrui e illudendoci di aver raggiunto la nostra. Questo vuoto, però, “non si colma che dall’interno”—  la chiave di coscienza è  infatti un'altra — ed è qui che si apre la dimensione più esistenziale del testo: la ricerca della propria unità è un atto intimo, non un prodotto sociale. Ma affinché si dipani, si manifesti e si "compia", seppur non letteralmente,  e si crei "il sociale", ha paradossalmente bisogno della società stessa, del suo scontro, condizione indispensabile per (auto)riconoscersi.

L’immagine del “giocoliere dell’anima”, in bilico tra razionalità e sentimento, introduce la tensione dialettica che attraversa tutto il componimento: la scissione tra cuore e mente, istinto e logica. E tuttavia, anche “l’irrazionalità cela matematica” — la disarmonia è solo apparente. In questa frase emerge un nucleo motivazionale di profondo impatto: nel caos personale si nasconde un punto di equilibrio, “un vertice nel vortice”. E' qui che anche si smentisce, ma non sempre, la possibilità di una soluzione standardizzata (non è “il teorema di Pitagora”). "Il potere, in fondo, è movimento"—  per citare Lindagine sul Potere.  Non si nega, tuttavia, la possibilità di una sintesi o ulteriori "vie" che danno nuovo "avvio".

Segue poi un altro passaggio simbolico: il soggetto è “un puntino tra l’infinito e l’oblio”, un'entità minuscola ma significativa, capace di compiere una trasformazione attiva. Il gesto di “capovolgersi” e “creare il proprio sfondo” sembra quasi suggerire un moto di emancipazione: è dall’indeterminatezza che si passa all’autodeterminazione. Si raddrizza l’“Ortho”, metafora sottile, dal greco,  di rettitudine e orientamento.

Infine, si "chiude" (per riaprire)  il cerchio con un’apparente confessione di incompiutezza: tutto ciò “non è ancora l’unità dell’io" (quindi di me, di te, di tutti Noi). Ma proprio questo “contorno”, questo non ancora, rappresenta il tratto più umano del percorso identitario: non un fallimento, bensì un dinamismo permanente, “in eterno ritorno al suo primordio”, sempre pronto ad aprirsi a nuovi orizzonti. (condizione necessaria per il processo, in quanto è ciò che conserva il movimento).

Ci sarebbe tanto altro da dire, ma ci si ferma qui e si conclude così: in un’epoca che spesso sussume l'identità nel prodotto e nei particolarismi e si "fonde e confonde con l'alterità", questa poesia ricorda che il sé non è un monolite, ma un processo in atto, in costruzione, una scultura a cui si tolgono e si aggiungono pezzi, così come un concetto valvola della costituzione, così come... in cui nel non detto ed incompiuto ed in tale limite o orizzonte si cela la vera condizione di possibilità di essere liberi.

Commenti

  1. Interesting thoughts and great pun, Linda. Always brilliant.

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  2. Se il sé è un processo in continuo divenire, come può evitare di perdersi nel flusso del cambiamento? Senza una direzione precisa, il movimento stesso non rischia di perdersi di significato?

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    1. Grazie per la domanda. È molto lucida.

      Ti dirò: il dilemma è proprio quello che poni. Non a caso, capita molto spesso. Non esiste, tuttavia, una risposta standardizzata. Come dice la poesia: “non c’è un teorema” che viga di default; dipenderà da noi e dalla nostra maturità. Ma si può tentare di arginare questo fiume in piena così.
      La poesia non parla di un processo cieco, semmai “empirico”. “Come l’appetito vien mangiando”, così la risposta vien “facendo, vivendo e sperimentando”. Meglio ancora: “imparare è esperienza, tutto il resto è mera informazione”.
      Ciò che ispira questa concezione è l’ambito giuridico che — in quanto inevitabilmente un prodotto umano — può, paradossalmente, farci capire più a fondo la nostra natura umana.
      Consideriamo un qualsiasi tipo di processo: esso avrà le sue regole, i suoi principi, le sue fasi da seguire. È strutturato, seppur in divenire. Se il pubblico ministero pensasse che il suo ruolo sia solo “dominare le indagini” e non “ricercare la verità”, il processo resterebbe bloccato a quel flusso — o meglio, a quella fase.
      Perdersi nel flusso del cambiamento è un fondersi e confondersi con la fase. Ma la fase non è il processo: è solo una parte. Discernere questo è già un modo per evitare di perdersi.

      La seconda domanda che poni si ricollega a quanto appena esposto. Comprendere questa necessità di discernimento ci permette di pensare, paradossalmente, a una direzione — seppur non ne possediamo una in senso assoluto, in quanto perenni “abbozzi in divenire”, come sostiene Svevo. (Parlando sempre in termini esistenziali.)
      Quando ci sentiamo persi nel flusso, potremmo provare a pensare: “Ma sono io questo o è solo una fase?”. Questa domanda è già, in sé, sia un modo per non perdersi — perché ci dona lucidità — sia ciò che ci fa tornare sui nostri binari: ci dà la consapevolezza necessaria per lasciare andare la fase che non serve più e continuare il processo.

      Non bisogna, dunque, confondere la fase con il processo: tutto è movimento, sì; ma il “movimento verso”, che “coltiva l’Ortho”, possiamo intenderlo più semplicemente così: è la giusta postura da tenere. È l’acqua potabile.
      Può capitare di piegarsi, di curvarsi, di rimanere immobili per adattarci alle varie fasi, o anche di bere per sbaglio un po’ d’acqua salata di mare e affogarci per un attimo; ma ciò non significa che la nostra postura di default sia curva, né che l’acqua di mare sia potabile.
      Fondersi nel e con il mondo per comprendersi è condizione necessaria per auto-riconoscersi e “procedere nel processo”. Ma non lo è il confondersi.
      Così si potrebbe riassumere il tutto.

      Ci sarebbe tanto altro da dire, ma mi auguro che questo commento sia stato — anche solo parzialmente — esaustivo come risposta. Alla prossima, e grazie per la domanda🔎

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  3. Ritengo che la questione non possa essere semplificata esclusivamente in termini di movimento o di opposizioni nette. L’idea di vivere secondo la propria essenza è valida, ma le eccezioni, inevitabili, finiscono per rafforzare la regola stessa

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    1. Grazie per il pensiero condiviso. È molto acuto. Coglie il baricentro de Lindagine.

      Non credo nemmeno io che tutto possa risolversi in una dialettica dicotomica, pena la negazione della complessità; così come ritengo che le eccezioni alla regola esistano e confermino proprio quanto dici. Come scritto in conclusione della chiave di lettura, ci sarebbe ancora tanto altro da dire e contraddire.

      In merito alla riflessione che poni, credo che il punto possa essere il seguente: l’impostazione metodologica del linguaggio, inteso come strumento terzo per comunicare tra di noi, crea comunque uno scarto che ci costringe a incasellare il pensiero, l’io e ciò che siamo, per renderlo immanente agli altri e instaurare quel movimento verso l’altro che ci permette di (auto)riconoscerci e di creare la società. Credere, però, che l’immanenza equivalga alla completezza, significa perdersi. Mi viene in mente un parallelismo: una teoria istituzionale che considera infondata una democrazia che renda l’identità “governanti e governati” immanente. La chiave è nel tenere in equilibrio lo scarto tra queste due entità.

      Ecco che la chiave può risiedere nel non detto: ciò che puoi cogliere, ma non puoi rendere del tutto concreto. Da qui il richiamo al movimento (come teorizzato, in parte, nella Lindagine sul Potere, quale elemento costitutivo). Entrambi sono forse strumenti concettuali che permettono di lasciare una fessura capace di inglobare quella complessità della natura umana che crea, produce, si esprime e si contraddice nel tentativo di cristallizzare un istante in modo limpido. Ma serve un intero processo per comprendere che quell’istante è solo una fase di un “quid” più ampio. Ritorna così il concetto di fondersi con la fase, senza però confonderla né confondersi con essa; pena la “distruzione” (ma forse sarebbe più opportuno trovare un termine meno catastrofico) del sé e dell’intero processo.

      In sintesi, condivido quanto dici. Ma proprio perché ne condivido l’impostazione di fondo, non credo nemmeno che tutto sia riducibile esclusivamente a quanto da noi espresso. Tuttavia, da questo “scontro”, se lo intendiamo come nella poesia e chiave di lettura, possiamo arrivare ad una nuova sintesi, aggiungendo insieme un nuovo tassello al puzzle dell’Io: “una via che può dare nuovo avvio” per intravedere qualche ulteriore barlume capace di far emergere un altro lato, ancora inesplorato; un’altra fase della complessità umana e del nostro processo di auto-riconoscimento empirico che si dipana nel rapporto tra l’Io e la Società.

      Grazie per aver condiviso questo pensiero. E' stato molto stimolante intellettualmente. Alla prossima🔎

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  4. L’alterità costituisce la base di ogni relazione e costruzione sociale; Ignorarla comprometterebbe la comprensione e coesione tra individuo e comunità

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    1. Grazie per il pensiero. Anche questo coglie bene il cuore de Lindagine e stimola molto la riflessione.

      Sono d’accordo con quanto dici. Anch’io ritengo l’alterità un presupposto imprescindibile. Se pensiamo all’ambito del potere, ad esempio, esiste persino una teoria istituzionale che pone al centro tale questione, evidenziandone la fragilità.

      Quanto sostengo ne Lindagine non è una marginalizzazione dell’alterità, tutt’altro. Si tratta piuttosto di una diversa chiave di lettura, riportata all’ambito esistenziale e al processo empirico di evoluzione personale, che inevitabilmente potrebbe riflettersi anche in chiave istituzionale […]

      L’altro è fondamento per il mio (auto)riconoscimento, ma non può essere me. È una visione più hobbesiana, in cui, a-tecnicamente parlando, va bene fondersi ma non confondersi, pena lo scambiare una fase per l’intero processo e bloccare l’evoluzione verso l’unità (in cui l'altro può essere compreso, ma rimarrà sempre uno scarto).

      Grazie per aver condiviso questo pensiero. E' stato un ulteriore spunto per chiarire alcuni passaggi. Alla prossima🔎

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